Questo è il ritratto che ho fatto nel 2004 al mio amico scultore e pittore Silvio Alchini.
Silvio, nel lontano 1970 mi aveva accolto come improvvisato garzone nella sua bottega di scultura perché mosso a pietà dal racconto che mia sorella gli aveva fatto della mia tragica condizione esistenziale: all'epoca avevo 14 anni e per le vacanze estive, finita la scuola, mia sorella su richiesta di mio padre aveva trovato per me un impiego come aiutante fotografo in un negozio gestito da amici di famiglia.
Dovevo aiutare a sviluppare le pellicole, ritoccare le stampe in bianco e nero delle fototessere, ( potevo usare un bellissimo set di acquerelli che andava dal bianco al nero seppia con almeno una dozzina di tonalità intermedie di grigio, e dei pennellini talmente minuscoli da poter ritoccare le pupille dei soggetti immortalati, era un bellissimo lavoretto estivo...) ma io che ero un mezzo disgraziato, invece che al lavoro certi pomeriggi andavo al laghetto a fare il bagno con gli amici, vuoi mettere, finché non fui licenziato.
Lucia, mia sorella, della quale avevo una certa soggezione essendo lei otto anni più grande di me, per non dover rivelare a mio padre il fattaccio, chiese al suo amico Silvio di tenermi per l'estate praticamente nascosto nel suo ateliér durante l'orario in cui mi si credeva al lavoro.
Silvio accettò. Un giorno la sua compagna di allora, (faceva anche lei la scultrice anche se non con i risultati di Silvio) gli chiese di prepararle i calchi in gesso di due teste che aveva modellato nella creta, ma Silvio che non aveva nessuna voglia di distogliersi dal suo lavoro passò quest'incombenza sulle mie spalle, mostrandomi distrattamente come dovevo fare.
Io, orgoglioso di poter contribuire me ne feci carico, ma per inesperienza non mi riuscì di amalgamare il gesso con la dovuta consistenza e neanche posizionai bene le lamelle di acciaio che dovevano servire a spaccare in due parti il calco, sta di fatto che quando Silvio provò ad aprirli andarono in pezzi ed anche i modelli originali in creta ne uscirono piuttosto malconci.
Non vi dico la scenata della donna, che aveva tutte le ragioni per andare su tutte le furie, ma Silvio non le disse nulla del mio operato, e si addossò tutta la colpa. Fu grande, e quando anni dopo gli capitò di dover rimanere su una sedia a rotelle ne soffrii molto, ma ancora è stato grande poi nel tenere duro.
Di allora, quell'estate da quattordicenne nell'ateliér, ricordo il mio primo sentire de La buona novella di DeAndrè, e ricordo che ne rimasi profondamente colpito tanto che poco dopo sapevo suonare e cantare tutte le canzoni dell'album. Le cantavo a casa, dove in compagnia dei suoi amici mio padre fingeva di scandalizzarsi, ma io sapevo che gli piacevano, che anche lui era un poeta, pur se aveva scelto l'idioma dialettale, ed era di animo buono e gentile.
E qualche anno fa Silvio mi ha chiesto di fargli un ritratto.
Questo è il risultato, sono partito da un fondo di terra bruciata e dopo aver tratteggiato il disegno ho cominciato a colorare. Le foto spiegano il procedere.
silvio 2004 |
1 commento:
fiori selvaggi
alla vita avvinti
i papaveri
un pittore lo sa, un fotografo lo sa,
mi piace che il tuo amico nel tuo ritratto abbia alle spalle sé da giovane con macchina fotografica e quel cipiglio virile di catturare l'attimo, l'attimo è eterno, lo dicono gli occhi di silvio, la sua canizie, il sorriso mezzo beffardo che invece è solo consenso alla vita
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